QUANDO LA SPESA SI FACEVA A PESO
- Sposa, in che posso servirla stamattina? -
- Mi ci vorrebbe un tre etti di farina,
quella gialla, per fare la polenta
così la mia famiglia fo contenta.
Poi un quartino d’olio e un po’ di pasta. -
- È proprio certa che così le basta? -
- Per i bimbi vorrei otto biscotti,
mi raccomando, me li dia ben cotti,
e un po’ di cioccolata da spalmare:
trenta grammi, me la farò bastare.
Ci metta meno carta, stia attento,
pesa di più di quello che c’è dentro.
- Come si fa? Lo vede, il foglio è questo. -
- E lei lo tagli in due, via, sia onesto.
E poi mi dia tre uova da frittata
e un filetto d’aringa affumicata. -
- C’ho un parmigiano davvero speciale… -
- Mi scusi, Oreste, non se n’abbia a male,
ma è poco stagionato e tutta crosta,
non vale certo tutto quel che costa.
Quattro figlioli a bocca spalancata
che sembrano uccellini di nidiata…
Mi dia piuttosto due chili di pane
che con quello ci si leva la fame.
Quanto fa? -
- Trecentoventi lire. -
- Così tanto? Dove s’andrà a finire?
Per far la spesa dovevo nascer maga. -
- Se vuole segno tutto, poi mi paga. –
DAVANTI ALLA VETRINA
Due bimbi, la domenica mattina,
stavano un’ora davanti alla vetrina
d’un pasticciere del centro cittadino
e indicavano a turno, col ditino,
le paste e i dolci pieni di colori
immaginando tutti quei sapori.
Da quel negozio uscivan solo i ricchi
con i pacchetti ricolmi di chicchi:
crostate, millefoglie, cioccolata
e paste ripiene di panna montata.
- Non piangere – diceva il grandicello
vedendo i lacrimoni del fratello
- Fra poco è Pasqua e sai che nonna Lina
ti prepara una bella sportellina
e mamma cocerà le sue schiacciate
che più buone non l’hai mai assaggiate. –
- A me mi piacerebbe quello là -
diceva il piccino indicando un babà.
- Io c’ho una lira in tasca. Sai che faccio?
Ci compro un pezzo di castagnaccio,
lo mangeremo poi strada facendo.
Non lo dire a nessuno! Sei contento? –
Se ne andavan tenendosi per mano,
gustando il loro dolce piano piano
ed il sorriso ritornava lieto,
felici in cuore del loro segreto.
SE QUALCUNO
Se qualcuno lontan da questa terra
puntasse il suo potente cannocchiale,
vedrebbe distruzione, fame, guerra,
vedrebbe gente avida e immorale
mirare al personale suo potere
calpestando ogni diritto umano
e negando a ciascuno il gran piacere
di gestire la vita di sua mano.
Ma più lontano ancor nell’alto cielo
qualcuno guarda e con benevolenza
stende la mano per squarciare il velo:
“Pazienza, umanità, ci vuol pazienza!”
L’augurio sia che dopo tante pene
senza trovar soluzione ai nostri affanni
ci resti almeno il sangue nelle vene
per riparare in parte a quei malanni.
VENDICATE PUREZZA VIOLATA
Ascoltate che vi raccontiamo
le vicende di donne e bambine
che la sorte ha portato alla fine
calpestando la lor dignità.
Da carrette del mar trasportate
per andare incontro all'amore
s'è trovato soltanto dolore
e perduto la nostra virtù.
Reclutate nei nostri paesi
e vendute ad indegni aguzzini,
traditori e mercanti assassini
ci han privato della gioventù.
Ci sfruttate su tutte le strade,
ci picchiate se siam senza soldi,
ai lamenti di noi siete sordi,
non sentite nessuna pietà.
Disprezzate dal mondo per bene
che ci compra là sul marciapiede,
se qualcuno ancor non ci crede
a vedere può sempre venir.
Non è questo che noi speravamo
riservasse il nostro futuro,
ogni giorno diventa più duro
sottostare alla schiavitù.
E da schiave imploriamo clemenza
per le nostre indicibili pene,
che si sciolgan le nostre catene
per tornare alla libertà.
Raccontando le tristi vergogne
della carne venduta per strada
vendicate purezza violata
e la vita ritorni a fiorir.
LA VERA STORIA DELLA SPADA NELLA ROCCIA
Vogliamo a voi narrar di San Galgano
nato e vissuto in tempo assai lontano.
Il nobile Giudotto e sua consorte
ebbero un grande dono dalla sorte:
nell’anno mille e cenquarantasette
Dionigia un figlio maschio al mondo mette.
Nel paese Chiusdino, in quel di Siena,
viene alla luce quell’anima serena.
Ma già uomo e assai ricco, vita spensierata
trascorre il bel Galgano in allegra brigata.
Sulla via del peccato, senza ripensamento,
non si priva giammai di alcun divertimento.
Guidotto intanto muore, Dionigia è dolente,
però per quel figliolo lei non può far niente:
lo vede un perditempo spensierato
e il cuore sempre più ne vien turbato.
La pia donna trattien le lamentele
e ne parla in preghiera a San Michele.
E per fato, una notte, un sogno chiaro e bello:
il figlio ode la madre sfogare il suo fardello.
La conforta l’Arcangelo, che dice:
“A lui penserà Dio, sarà felice”.
Chiede Dionigia: “Cosa mai posso fare,
o Michele?” “Cavaliere ei deve diventare”.
Galgano, desto, con grande apprensione,
chiede del sogno alla madre spiegazione.
Dice Dionigia: “Colui che tutto regge
è su di noi. Vuol dir che ti protegge”.
Già trentenne, una notte come tante
il demonio lo tenta in modo invitante;
con suadenti parole in tentazion lo spinge
e nel peccato già lo tiene e stringe.
L’Arcangelo Michele, come niente,
mostra la sacra croce ed è vincente.
Fugge il demonio correndo a perdifiato
ed esce dalla prova scornacchiato.
Dorme Galgano ignaro e sogna il Santo
che lo prende con sé come in incanto,
lo porta a un fiume e c’è un ponte lì presso:
è difficile e lungo il suo ingresso,
più difficile ancora è quel cammino
ché sotto gira la ruota di un mulino,
e gira e passa l’acqua vorticosa
e il gorgo è cosa davvero spaventosa.
“Che vuol dir?” chiede al Santo il bel Galgano,
Michele lo conforta prendendolo per mano
e spiega: ”Il ponte, ti dico chiaramente,
è il cammino da far per chi si pente
e lascia del mondo quel che poco vale,
come l’acqua che passa tra le pale.
Ma cosa vedi, se tu guardi oltre?”
“Vedo un prato e di fiori gran coltre,
sento il loro profumo dolce e intenso,
ma non ti so ridir quello che penso.”
“Non ti crucciar, Galgano, fai un sorriso
ché quello, altro non è che il Paradiso”.
Sempre nel sogno camminando accanto,
giungono a Monte Siepi e lì in un canto
c’è una caverna tanto buia e profonda
e in fondo ad essa una casa rotonda.
Entra Galgano e trova (gran sorpresa!)
gli antichi fondatori della Chiesa.
I Santi Apostoli un libro gli danno
e Galgano lo prende con affanno
perché, ahimè!, egli legger non sa,
non capisce e si chiede cosa mai conterrà.
Allora i Santi mostrano col dito
nel cielo uno splendore inaudito.
Stupisce il giovane e ascolta tremebondo:
“Quello è colui che giudica nel mondo”.
Si desta infin Galgano e al sogno tosto
segue l’impulso d’andare ad ogni costo
a Monte Siepi nel luogo ove ha veduto
il segno del Signore in suo aiuto.
E cavalca, cavalca al monte arriva,
presso una roccia della spada si priva
e la spada conficca a mo’ di croce
pregando con il cuore e con la voce.
Fora il mantello, come saio lo indossa
e più non v’è demonio che tentar lo possa.
Presso quel rude altare ei passa la vita,
e, cavalier di Dio, si fa eremita.
Solo una volta le sue voglie doma,
parte per visitar la Basilica a Roma.
Mentre è via, degli uomini invidiosi
spezzan la croce-spada, quegli odiosi!
Ma lo sdegno di Dio tosto li coglie:
manda un fulmine e ad un la vita toglie,
un altro cade in acqua e lì annega,
al terzo la salvezza Dio non nega,
che, azzannato da un lupo, di Galgano
invoca il nome, e ciò lo rende sano.
Torna Galgano e guarda con sgomento,
ma il comando di Dio gli toglie il tormento:
prende il moncone, lo conficca con forza
e la sua fede ancor più si rafforza.
Costruisce di legno una piccola cella
e lì passa la vita che per lui è più bella,
trascorre giorni e notti in veglia e digiuno
e che lo può turbar non c’è nessuno.
Ma dura è questa prova alla persona:
Galgano, già sfinito, si abbandona.
Nel cielo appare un raggio luminoso,
si rivolge al Signor e Gli chiede riposo.
Galgano esausto, stendesi a terra e muore
dopo aver liberato tutto quanto il suo cuore.
L’uomo che era, adesso non è più,
vicino a Dio la pace gode lassù.
Uomini pii, vincendo ogni peripezia
a Monte Siepi fanno un’abbazia,
che fu meta di gran pellegrinaggio
dove Galgano iniziò il suo viaggio.
Venite a visitar quel luogo santo
e rivivrete il magnifico incanto.
A lode e gloria di Nostro Signore
cui spetta certamente ogni onore,
nei secoli dei secoli che verranno,
dagli uomini che in cuor la fede hanno.
AL BANCO DEL PESCE
- Che pesce fresco! Venite, donne, sveglia!
Paranza, razze, polpi, fragoline!
Vuole le acciughe? Le può fare in teglia. -
- No, ce le ha mica invece le arselline?
Con l’uovo le gradisce mio marito. –
- Oggi non ce l’ho proprio, mi dispiace.
Ha tirato libeccio, l’ha sentito?
Suo marito si metta il cuore in pace.
Forse domani… Prenda questa orata,
una bellezza! Gliela do per trecento. –
- A me non sembra proprio di giornata:
le branchie sono scure e l’occhio spento. –
- Che ne dice di questo nasellino? -
Lo prenderei, ma è troppo piccino . –
- Ma signora, lei non è mai contenta!
Lo sa che le consiglio? La polenta! -
DAL MACELLAIO
- Un po’ di sopraccostola e un bell’osso. -
- Ci ho questo di piccione, bello grosso. -
- Ci farò un bel catino di patate
per quelle bocche sempre affamate.
Non c’è proprio niente di meglio, guardi,
d’un tegame d’inno di Garibaldi. –
- Voi Livornesi tanto vi lamentate
e poi tutte le “c” ve le mangiate. –
- Ma quelle non riempiono la pancia
e se oggi la gente non si arrangia…
almeno si risparmia sul parlato.
Madonna, che cicciaccia che m’ha dato!
Anche con cinque “c”, io ci scommetto,
stasera a tavola non so cosa ci metto. –
- Cara signora, oggi la vita è dura! –
- Ma nemmeno si campa d’aria pura!
E poi, caro Vittorio, parla bene,
lei la carne ce l’ha per pranzi e cene.
Invece a noi tante zuppe di pane
uguali a quelle che si danno a un cane! –
SPARSE IL SUO SEME FERTILE
Sparse il suo seme fertile
un dio su questa terra
e l'uomo ora raccoglie
soltanto odio e guerra.
Genti di tutti i popoli
che avete avuto tanto
dei poveri del mondo
ora ascoltate il canto.
Partono e più non tornano
per procurarsi il pane,
pensano da lontano
ai figli che hanno fame.
E voi che siete i principi
potenti e senza cuore
pensate che quel dio
vi ha dato anche l'amore.
Padre, divino giudice
supremo ed imparziale
di queste azioni umane
giudica il bene e il male.
FACCIAMO UN GIROTONDO?
Facciamo il girotondo della pace,
gridiamo a tutti ciò che ognuno tace.
Insieme per salvar la fantasia…
… io vengo a casa tua, tu vieni a casa mia.
Facciamo un mondo dal cielo sereno
con tutti i colori dell'arcobaleno,
raccontiamo le favole alle stelle,
scambiamoci sorrisi e anche la pelle.
Chi dice che bambini non si muore
con le fiabe spezzate dentro il petto,
un colpo di fucile dritto al cuore,
soli, senza una fata né un folletto?
Facciamo il girotondo dell'amore,
non restiamo a guardar senza parole.
NO a chi cancella i sogni dei ragazzi,
ai soldati fanatici, ai generali pazzi!
NO a chi ci ruba i giochi e la speranza!
Scendiamo in piazza a passo di danza,
riprendiamoli per portarli in cielo,
per stenderli sul mondo come un velo.
Chi dice che bambini non si lotta
con la voglia di vivere e di amare?
C'è un posto per ognun sotto la volta
del cielo azzurro e tra mare e mare.
Noi siamo l'oggi, noi siamo il domani:
da buoni amici prendiamoci le mani.
Prendiamoci le mani tutti insieme
e della pace getteremo il seme.
Facciamo il girotondo della vita,
viviamola serena e più pulita.
Danziamo per la pace in questo mondo.
Lo facciamo sì o no, 'sto girotondo?