LA VERA STORIA DI ULISSE


Quando Ulisse andò in pensione, per sollecitare la liquidazione scrisse al Ministro della Marina e siccome a quei tempi non c'era tanta precisione nel conteggio del tempo, per dimostrare che aveva lavorato 19 anni, 6 mesi e un giorno, senza considerare i giorni di sciopero, gli mandò il suo libro di bordo che costituiva la migliore testimonianza.
Il Ministro, che si chiamava Omero, siccome non ci vedeva tanto bene, chiamò il sottosegretario e se lo fece leggere, dopo di che cominciò a trarre le sue conclusioni. Che Ulisse fosse un buon marinaio non c'erano dubbi: più volte era stato intervistato e da come aveva parlato si capiva che il suo mestiere lo sapeva fare. Certo, era un tipo un po’ bislacco che soffriva di mania di perse¬cuzione se pensava che per aver rubato dei manzi al pascolo in un momento critico per lui e per i suoi compagni, si fosse scomodato tutto l'Olimpo. Perdinci, esisteva anche la pena di peculato e con qualche mese se la sarebbe cavata (con la condizionale), senza dover vagare per i mari per tanti anni!
Secondo Omero c'era qualcosa sotto, così nominò una Commissione Tecnica che ripercorresse l'itinerario di Ulisse, dopo di che avrebbe deciso ai fini della qualifica.
I risultati furono sconfortanti: le Sirene lo denunciarono per mancato soccorso in un momento in cui una nave nigeriana aveva scaricato in mare sostanze tossi¬che e loro non ne potevano più per un attacco di allergia pruriginosa. Altro che cantare, erano lamenti!
Figuriamoci il Ciclope! Era talmente invelenito che al solo sentir rammentare il nome di Ulisse dette in escandescenze e quando dà in escandescenze un Ciclope vi potete immaginare il putiferio! Il risultato fu un terremoto dell'ottavo grado in Turchia.
Nettuno dichiarò che nessuno si era mai permesso tanto e mostrò come prova il tridente con le punte consumate, proprio ora che Vulcano era in ferie e non gliene poteva forgiare uno nuovo, sicché si sentiva un dio solo a metà.
Calipso, dal dolore di essere stata abbandonata, era impazzita e si era data alla danza dopo essersi ritirata a vita privata in quel di Cuba.
Nausicaa, tra un singhiozzo e l'altro, aveva raccontato come, sfruttando l'amore di lei, aveva tentato un colpo di stato ai danni di suo padre che, pur di levarselo di torno gli aveva regalato una nave per andarsene e poi, in qualità di rappresentante di un'oligarchia democratica, era stato denunciato a piede libero per concussione e omissione d'atti d'ufficio perché nella confusione si era dimenticato di trascrivere la spesa sul libro dei conti dello stato. I Feaci erano d'un arrabbiato!!! Ma il più bello venne quando fu sentita la famiglia: Telemaco si dichiarava figlio di N. N. e cercava una famiglia adottiva che gli facesse dimenticare la sua pena. Laerte, si sa, era il padre, e come tutti i padri si sentiva in dovere di difenderlo, ma solo limitandosi a dire che lui soffriva di cuore e forse tante cose gliele avevano tenute nascoste per non turbarlo troppo. Penelope, casalinga frustrata, nonché cornuta, non gli avrebbe mai perdonato il fatto che mentre lei, con quel che costa il filo, faceva e risfaceva quella benedetta tela e doveva sfamare e sopportare un sacco di gente per il sacro dovere dell'ospita¬lità, lui se ne scorrazzava per i mari senza fare neanche una telefonata. Si era rivolta persino a "Chi l'ha visto?" e sapeva che era vivo, almeno in base alle testimonianze, anche se la foto che aveva presentato era quella di un giovanotto baldo e forte, mentre quando era tornato soffriva di reumi e ci aveva il fegato scassato da tutte le porcherie che aveva mangiato.

Omero non sapeva più deve mettere le mani, ma da buon politico seppe volgere la situazione in suo favore. Dette la liquidazione a Ulisse in dollari canadesi a patto che li spendesse tutti in un albergo dell'Alaska che (guarda caso) era di proprietà di un suo parente. Lui dette le dimissioni da Ministro, si iscrisse alla SIAE e, mettendo insieme tutti i materiali con delle aggiustatine, scrisse un memoriale e campo di rendita insieme a Penelope che, per piazzare la tela, aveva aperto un atelier alle Bahamas, diventando così la prima donna manager della storia.


L'ANGELO DIMISSIONARIO


C'era una volta un angelo che si chiamava Leopoldo, detto familiarmente Pippo; era un angelo un po’ svagato e distratto, tanto che tutti gli dicevano :"Leopol¬do, Leopoldo, parli bene ma non vali un soldo" sicché, a forza di sentirselo ripetere, era entrato in crisi e decise di dare le dimissioni.
Il Consiglio Celeste si riunì sotto la presidenza di San Giuseppe, dato che Dio era impegnato in Palestina per la guerra del Golfo, e si accinse a prendere in considerazione le dimissioni dell'angelo Leopoldo. Furono passate in rassegna le sue pecche maggiori: parecchio tempo prima per esempio nel presepe aveva messo il cesto delle uova invece della mangiatoia, sicché Gesù per quell'anno fu covato da una gallina. Nel periodo in cui era di turno in cucina una volta servì fettuccine condite con tanto aglio crudo che gli Angeli Custodi si trova¬rono in imbarazzo ad aprir bocca e sulla Terra quel giorno ne successero di tutti i colori. Un'altra volta ancora usò pasta d'acciughe al posto di lucido da scarpe sicché colonne di gatti furono avvistati sull'autostrada e risultaro¬no tra l'altro privi del tagliando d'entrata.
Tuttavia, nonostante le sue sbadataggini, tutti gli volevano bene e in realtà nessuno in fondo voleva che un tipo così simpatico se ne andasse perché l'atmosfera del Paradiso, a dirlo tra noi, era un tantino monotona.
Allora San Giuseppe decise di prenderlo da parte e di fargli un discorsino. Gli disse: «Vedi, Pippo, io sono convinto che se noi accettassimo le tue dimissioni e ti rimandassimo sulla Terra, sbadato come sei, ti troveresti in mille guai. Resta con noi che ti vogliamo tutti bene. Ma mi raccomando, non combinare guai, almeno per un po’, se no sarò costretto a prendere seri provvedimenti».
Pippo ci provò in tutti i modi, ma sembrava che un genio maligno si divertisse a farlo tribolare. Un giorno mise in umido un'allodola di San Francesco, un altro giorno disse a San Tommaso a proposito di un bernoccolo che si era pro¬curato in testa: «Tocca, se non ci credi!», così che San Tommaso se ne andò via tutto impermalito perché credeva che la storia del toccare per credere fosse ormai morta e seppellita.
Ma quello che causò la cacciata definitiva di Pippo dal Paradiso fu quando venne il periodo della tosatura; tutte le pecorelle del buon Dio si misero in fila per essere tosate e Pippo si accinse ad assolvere al suo compito con tanta alacrità che tosò anche Maria Maddalena che era andata a portare acqua ai lavoranti. La poverina, preoccupata da morire perché doveva far da modella ispiratrice a un pittore di grido, denunziò la cosa al Consiglio Celeste e il destino di Pippo si compì.
Retrogradato alla carica di cane medievale (cioè quando i cani non portavano ancora il paltoncino), Pippo vagò per mare e per terra in cerca di un domicilio stabile, da dove iniziare la sua opera di redenzione. Dopo aver errato qua e là capitò, verso gli anni Cinquanta, in un disegno di un certo Walt Disney e da allora conquistò fama e successo, tanto che decise di rimandare la sua reden-zione di qualche secolo.
Ultimamente si è saputo di una sua convocazione in Cielo per la nomina uffi¬ciale a Cavaliere del Lavoro. Ci credereste? Non si è neppure presentato!


IL DILUVIO UNIVERSALE


Quel giorno, come tutti gli altri da un po’ di tempo a quella parte, Noè appena alzato, guardò il cielo e lo vide scuro e minaccioso. Era un po’ preoccupato perché da circa una settimana una pioggia insistente batteva la Terra senza tregua. A un tratto sentì una voce possente come il tuono che gli diceva: «Noè, il mondo si è riempito di uomini e donne che peccano senza tener conto dei miei comandamenti. Così ho deciso di punirli con un diluvio, in modo che l'acqua purifichi la Terra e si apra una nuova pagina sulla storia dell'umanità».
Noè esterrefatto gli disse: «Dio mio, grande e possente, non se ne potrebbe ragionare un momento? Se tu, col diluvio, fai scomparire dalla Terra tutti gli uomini e gli animali, rimarrà un grande deserto e la Terra è così bella! Sarebbe proprio un peccato!»
Dio tuonò ancora più forte: «Noè, non discutere. Sarà fatta la mia volontà, ma ho scelto te e la tua famiglia per continuare la specie. Costruisci un'arca di legno e porta con te una coppia di ogni animale. Ho detto!» e se ne andò con un brontolio per niente rassicurante dopo avergli lasciato un opuscolo per le istruzioni.
Noè rientrò subito in casa, facendo inferocire la moglie perché aveva appena dato la cera e lui lasciava zampate fangose dappertutto. Noè, che di solito la sopportava in cambio del suo vizietto di farsi un goccio tutte le sere, le disse: "Donna, ho parlato con Dio. Fra alcuni giorni verrà un diluvio tremendo, ma noi ci salveremo su un'arca e porteremo in salvo una coppia di tutti gli animali." La donna pensò tra sé: «Vai, ha alzato il gomito di mattinata!» però pensò di lasciarlo fare perché gli sembrava un po' troppo agitato.
Intanto però la pioggia insisteva così che Noè chiamò a sé i figli e si misero di gran lena a costruire la famosa arca, ma suscitarono le ire dei Verdi che prevedevano dissesti idrogeologici di grave portata per il disboscamento selvaggio che operavano.
«Idro...che?» gli chiese Noè in una riunione del Consiglio Tribale «Ve ne accorgerete tra qualche giorno... Comunque non vi preoccupate, mandatemi la multa a questo indirizzo: Monte Ararat n. 1.»
Nel giro di alcuni giorni l'arca fu pronta; Noè prese il brevetto di pilota nautico, immatricolò l'arca a Panama perché fosse esentasse, pagò l'assicurazione, assunse Esculapio come medico di bordo, acquistò da un napoletano una cassa di limoni e delle pillole contro il mal di mare e fu pronto per partire.
Il giorno prima del Diluvio Universale si infilò l'impermeabile e insieme allo sparuto gruppo di predestinati alla conservazione della specie fece una ricogni¬zione per radunare gli animali per l'imbarco. Si formò una coda lunghissima, dove non mancarono intemperanze e casi di svenimento. Ogni cosa fu finalmente siste¬mata, grazie anche alla consulenza della moglie di Noè, che aveva il compito di provvedere alle provviste; l'acqua non sarebbe certo mancata, il pane azzimo era pronto, di carne ce n'era a volontà. A quest'ultima affermazione Noè inorridì: «E tu vorresti mangiare delle creature destinate da Dio a perpe¬tuare la razza?» Si misero d'accordo per mangiare uova e formaggio fatto col latte di capre, pecore e mucche, anche se con un tantino di ansia per il cole¬sterolo e gli acidi urici. Meno male che c'era Esculapio con la sua cassetta del pronto soccorso!
Intanto c'era da scegliere gli animali da portare sull'arca; in primo luogo c'erano da considerare i casi di incompatibilità, come cani e gatti, elefanti e topi, leoni e gazzelle e via litigando. Tutti furono d'accordo per quanto ri¬guarda gli animali addomesticati, ma sorsero difficoltà per pulci, pidocchi, zecche, piattole e simili perché voi capirete, per quanto uno si sforzi di non essere schizzinoso, ogni cosa ha un limite. Si provvide pertanto a costruire della cassettine e a mettere in quarantena i suddetti.
E, neanche a farlo apposta, il viaggio durò appunto altri quaranta giorni e mai smise un attimo di piovere a catinelle. Non vi dico il mal di mare! Esculapio correva da destra a sinistra per portare soccorso ai sofferenti, tanto che poi ebbe anche la nomina a tempo determinato di dio della medicina. Non entrò mai di ruolo perché alla nascita di Gesù si decise di cambiare politica e di elimi-nare il clientelismo.
Quando arrivarono, Noè sbarcò per primo; appariva invecchiato di vent'anni, anche se, per essere uno che ne aveva quasi seicento, si manteneva ancora in gamba. Ma il mal di schiena!
Appena sceso baciò la terra e si rivolse a Dio: «Guarda, che sia la prima e l'ultima volta perché questi strapazzi non li posso più sopportare».
Scesero i familiari di Noè, con la moglie che gli teneva il muso perché durante il viaggio si era scolato un barilotto di vino con la scusa che era un dono che il buon Dio aveva fatto a lui personalmente e poi, ubriaco, si era spogliato del tutto credendo di essere Adamo e aveva dato di sé uno spettacolo assai poco decoroso, tenuto conto anche dell'età.


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