COLLAGE

Quattro quadri destinati ai ragazzi per affrontare in tono tragicomico i temi della prepotenza e della violenza in vari periodi storici con adattamenti e parodie di opere classiche e contemporanee. Quello riportato si ispira al Miles gloriosus di Tito Maccio Plauto.

PIRGOPOLINICE: Mi raccomando, il mio scudo deve brillare più dei raggi del sole quando il cielo è sereno. Voglio che, in caso di bisogno, nel pieno della battaglia, esso abbagli la vista ai nemici.... Ma ora consoliamo questa spada, che non si lamenti né si perda d’animo, se da troppo tempo me la porto oziosa al fianco: Poveretta, muore dalla voglia di far salsicce dei nemici. Ma dov’è Artrotogo?
ARTROTOGO: Eccolo qua, al fianco di un eroe forte e fortunato, dall’aspetto regale. Marte non oserebbe paragonare le sue prodezze alle tue.
PIRGOPOLINICE: Alludi a quello che salvai nei campi dei Ghiottoni, dov’era comandante in campo Bombone Incapacione, nipote del dio Nettuno?
ARTROTOGO: Proprio di lui, quel tale dalle armi d’oro, di cui tu disperdesti le legioni con un soffio, come fa il vento con le foglie e con le canne dei tetti.
PIRGOPOLINICE: Ma questo non è niente, per Polluce!
ARTROTOGO: Certo, questo non è niente, per Ercole!, a paragone di quello che potrei dire delle altre tue prodezze... che non ha mai compiuto. Se qualcuno dovesse trovare un uomo più impostore e più borioso di costui, mi tenga pure per sé come schiavo. C’è solo una cosa di buono: da lui si mangiano certi pasticci d’olive... da impazzire!
PIRGOPOLINICE: Dove sei?
ARTROTOGO: Eccomi. E quell’elefante in India? Per Polluce! Come hai fatto a spezzargli un braccio con un pugno?
PIRGOPOLINICE: Come, un braccio?
ARTROTOGO: Volevo dire una gamba!
PIRGOPOLINICE: E’ stato un colpetto da niente!
ARTOTROGO: Per Polluce, se ce l’avessi messa tutta, il tuo braccio gli avrebbe trapassato la pelle e le budella e gli sarebbe uscito dalla bocca.
PIRGOPOLINICE: Non ho voglia di parlare di queste cose.
ARTOTROGO: Per Ercole, neppure io ho voglia di parlare delle tue prodezze, le so a memoria. E’ per via della pancia che devo passar per buone tutte le fandonie che mi racconta.
PIRGOPOLINICE: Ti ricordi....?
ARTOTROGO: Mi ricordo: in un sol giorno ne ammazzasti 150 in Cilicia, 30 a Sardi, 60 in Macedonia, 100 a Citrullopoli.
PIRGOPOLINICE: Per Pulluce. hai una gran bella memoria!
ARTOTROGO: Me la rinfrescano i bocconcini.
PIRGOPOLINICE: Se continuerai a comportarti così, non ti mancherà mai da mangiare; per te ci sarà sempre un posto alla mia tavola.
ARTOTROGO: Lo sanno tutte che di Pirgopolinice, al mondo, ce n’è uno solo, e che il tuo valore, la tua bellezza, le tue imprese, sono uniche al mondo. Sono tutte innamorate di te; e non hanno torto, bello come sei! Ieri due alla Suburra mi hanno tirato per il mantello...
PIRGOPOLINICE: E cose ti hanno detto?
ARTOTROGO: Mi han fatto un mucchio di domande. “Ma è Achille?” diceva una. “No - le risposi - è suo fratello” E allora l’altra: “E’ proprio bello, per Castore! - mi fa - E che distinzione! E come gli sta bene quella pettinatura!”
PIRGOPOLINICE: Dicevano proprio così?
ARTOTROGO: M’han supplicato tutte e due di farti passare di là oggi...
PIRGOPOLINICE: E’ una vera disgrazia essere troppo bello! Ma via... le accontenterò. Serpillus! Botrillus! La lettiga, subito. Aspettatemi qui, torno subito. Per Polluce e per Alluce! Che mai succede?
ARTOTROGO: Pirgopolinice, ecco pane per i tuoi denti! Ma attento, possiede un’arma che ti colpirà a morte. Difendi le tue sottili e delicate orecchie!
PIRGOPOLINICE: Vile attentatore! Tu non sai a chi ti rivolgi. Non vedi la mia divisa di soldato romano?
VIGILE: Embè? E tu non vedi la mia di ufficiale comunale?
PIRGOPOLINICE: Per tutti gli dei! Costui vuol forse insinuare che c’è una divisa che supera per importanza quella dell’esercito romano?
VIGILE: An vedi questo, oh! E che se crede d’esse’ ‘sto fanatico, con tutte ‘ste cianfrusaglie addosso! A pataccaro!!!
PIRGOPOLINICE: Meno ciarle e dimmi cosa vuoi.
VIGILE: Siccome la legge me dà ‘sto diritto, sai che famo? Hai da pagà! Poerché mo te appioppo ‘na murta co’ fiocchi! Embè? Che nun ce ll’hai l’orecchi? Me pareva de sì. Aho, sgancia er sordo, scuci le cucuzze, molla er dinero, los dindos, the money! Ir trabiccolo qui nun ce po’ sta! E’ divieto de sosta!!! Aho, e chi è ‘sto rammollito? Ussa via! So’ 50.000 più IVA. Concili o metto a verbale?
PIRGOPOLINICE: Verbale? Di che coniugazione?
VIGILE: A Bullo, nun lo fa er furbo! Si no mo te porto in guardina!
PIRGOPOLINICE: Ahimè tapino! Io che mi gloriavo di questa divisa, sicuro del rispetto di tutti. E’ mai possibile che uno straniero mi minacci? E poi perché? Perché non so i verbi?

SANTA CATERINA DA SIENA

DA CATERINA A MONNA LAPA SUA MADRE


Nel nome di Gesù Cristo e della dolce Maria Carissima madre, vi scrivo con desiderio di vedervi forte e paziente di fronte alle tribolazioni che Dio vi ha inviato perché coloro che sono perseguitati e tribolati in questa vita, sono poi saziati e consolati e illuminati nell’eterna visione di Dio


LAPA – Non a me penso, figlia mia, ma alla tua felicità.
JACOPO – Figliola, sii ragionevole, vedi quanto soffre tua madre, quanto si affanna per la tua caparbietà.
STEFANO – Sorella, perché vuoi abbandonare la vita terrena?
CATERINA – Io non abbandono la vita, anzi l’abbraccio con tutto l’amore perché Dio mi ha dato opportunità di conoscere me e la mia volontà.

E per voi, madre, affinché non perdiate il frutto delle vostre fatiche, è necessario il pieno conoscimento dell’esser vostro che vi viene da Dio, così conoscendo voi, conoscerete Dio. Che la benedizione discenda su di voi.

A CATERINA DA MONNA LAPA


Amata figlia mia, dolce Catarina, la forza e la pazienza che tu invochi per le tribolazioni che mi affannano, io ho usato in tutte le vicende della vita mia. Venticinque figli Dio mi dette e venticinque ne partorii e allevai con amore e dedizione.

LAPA – L’unica figlia che allattai al mio seno.
JACOPO – La figlia sopravvissuta alla sua gemellina che Dio chiamò subito a sé.
MADDALENA – La mia ventitreesina sorella, la dolce e pia fanciulla che tenni in braccio come una madre.

Giammai avrei creduto che una figlia tradisse le speranze de’ suoi parenti. L’avevano essi destinata ad altra vita che non a quella della rinuncia e della sofferenza nello spirito. Mai saprò darmi pace della tua ostinatezza e della tua ribellione. Che il Signore ti perdoni per questo.

DA CATERINA A MONNA LAPA


Nel nome di Gesù Cristo e della dolce Maria
Carissima madre, voi mostrate gran cruccio per la mia scelta. E’ vero, scelsi in tutto e per tutto la via che Gesù mi indicò fin da piccola.


JACOPO – Lo sappiamo bene. A sei anni avesti la visione di Cristo.
CATERINA – E’ qui, scolpita nella mia mente e nel mio cuore quella prima visione di Cristo Re, come lo è il voto di castità che feci.
LAPA – E tutti i fioretti, i digiuni, i sacrifici…
BENINCASA – Senza più pensare ai tuoi genitori che ti avevano donato la vita.
E la vita che mi donaste, voi e il mio amatissimo padre, è un dono consacrato a Dio e alla sua alta volontà.
LAPA - Le trecce, ti tagliasti, quando sapesti che ti avevamo promessa ad un gentiluomo.
CATERINA – Le trecce mi tagliai, come S. Chiara d’Assisi, perché ero consacrata, madre mia.
NICOLUCCIA – E nostra madre ti impose tutti i lavori di casa per distoglierti dalle tue continue preghiere, dalla tua meditazione.

Mai disobbedii, ma tutto il vostro dolore vi addiviene perché voi amate quella parte che io ho tratto da voi più che quella che ho tratto da Dio. Con desiderio ho desiderato di vedervi madre vera non solamente del corpo, ma dell’anima mia. Che la benedizione divina scenda su di voi.

A CATERINA DA MESSER JACOPO SUO PADRE


Adorata figlia, tua madre non sa darsi pace della tua ferma decisione. Io comprendo lei e comprendo te, tanto fragile nel corpo quanto forte nella mente.

LAPA – No, figlia, ti scongiuro nel nome di Dio…
CATERINA – Le cose che sono in me sono così ferme che sarebbe più facile intenerire un sasso che levarmele dal cuore. Io devo obbedire più a Dio che agli uomini.
JACOPO – Nessuno dia più noia alla mia dolcissima figlia. Lasciate che serva come le piace Dio che ha scelto come Suo Sposo.
FIGLI – Padre, sia fatta la tua volontà.

Ma il saperti chiusa in monastero, non poter godere della tua vicinanza è cosa che mi strazia il cuore. Ciò nonostante, rispetto la tua volontà perché vedo in te qualcosa di grande contro cui non posso combattere. Che la benedizione scenda su di te.

DA CATERINA A MESSER JACOPO


Nel nome di Gesù Cristo e della dolce Maria Adorato e venerabile padre, le vostre parole sono di grande conforto per me e le mie lo saranno per voi. La mia vita di rinunzie e sacrifici è la più bella che potessi sperare.

JACOPO – Sei così giovane, figlia mia!
LAPA – Giovane e testarda. Chiusa in convento a sedici anni!
CATERINA – Io non sarò chiusa da nessuna parte. Mi son fatta terziaria domenicana, ma la missione che devo svolgere non è nel monastero, è per gli uomini e tra gli uomini.
BENICASA – Lo sappiamo che compi opere buone. Presti persino assistenza ai lebbrosi.
NICOLUCCIA – Si parla molto di te.
MADDALENA – E si sparla pure. Tante sono le calunnie sollevate contro di te, sorella cara.
STEFANO – Tante le cattiverie che si dicono sul tuo conto.

Prego continuamente per tutti e invoco il perdono del Signore su di me, su di voi e su tutto quanti gli uomini del mondo. Ci sono anche persone che si degnano di ascoltare la vostra umile figlia. Mi chiamano mamma ed io li chiamo dolcissimi figli perché sono miei fratelli in Cristo. Siate vicino a mia madre e alleviate le sue pene. Io sono felice. Che la benedizione divina scenda su di voi.

DA CATERINA A FRA GABRIELE DA VOLTERRA


Reverendissimo padre, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù, scrivo a voi e ringrazio il Signore che ha voluto posare il Suo sguardo immensamente misericordioso sul vostro cuore. Venni a voi con l’umiltà e la semplicità nell’animo, a voi che foste Inquisitore capo della città di Siena.

FRA GABRIELE – Allora, sareste voi la fanciulla che ha la presunzione di sapere la scienza divina e di conosce Dio.
FRA GIOVANNI TANTUCCI – Dite di sapere di teologia e di conoscere le Sacre Scritture.
CATERINA – Dio mi ha detto: “Tu sei quella che non è, io Colui che sono. Se avrai sempre questa coscienza nel cuore, il nemico non potrà ingannarti e acquisterai ogni grazia, verità e lume”. Questo io cerco, di avere la coscienza di Dio.
FRA GABRIELE – Tutti noi cerchiamo la stessa cosa.
FRA GIOVANNI – Non dite niente di nuovo.

Quanto dannosa e inutile è la vita di chi cura la scorza e non il midollo! Voi, fra Gabriele, avevate fatto abbattere le mura di tre celle per averne una più grande tutta per voi, vi circondavate di oggetti di valore, dormivate coperto da un piumino in un letto coperto da cortine di seta. Voi non avevate coscienza di Colui che ha predicato l’umiltà e la povertà. Forse le mie parole vi colpirono: donaste tutto ai poveri, abbandonaste tutte le cariche e vi faceste inserviente in S. Croce a Firenze. Questa è la coscienza di Dio. Che la benedizione divina scenda su di voi.

AL PONTEFICE GREGORIO XI IN AVIGNONE


Signor Papa, io Catarina, serva e schiava dei servi di Gesù, scrivo a voi e vi prego con tutta l’anima di tornare a Roma e di lasciare Avignone, salvando la Chiesa dalla rovina e dalla vergogna. Voglio che siate buon pastore delle creature di Dio, che traggiate dal giardino della Santa Chiesa i fiori puzzolenti, pieni di immondizia e di cupidità che lo imputridiscono. Rispondete allo Spirito Santo che vi chiama. Venite e non aspettate il tempo, ché il tempo non aspetta voi.

PAPA – Ma i tempi non sono maturi, figliola. In Italia si trama. Il signore di Milano prepara una ribellione contro la mia persona.
CATERINA – Già scrissi a Bernabò Visconti e lo invitai a mantenere innanzi tutto la signoria della città dell’anima sua.
PAPA – Parole dure, figlia mia, ma non bastano. A Napoli si parteggia per l’antipapa.
CATERINA – Anche alla regina di Napoli scrissi per dirle che ohimè, si poteva pianger sopra di lei come morta, morta nell’anima e morta nel corpo, se non usciva da un errore così grande.

Per pregarvi di tornare, venni ad Avignone a scongiurarvi di persona. Incontrai l’oltraggio e lo scherno dei Cardinali.

CARDINALE 1 – Chi sei tu, che vieni dal nostro Signor Papa e pretendi di parlare con lui? E poi di simili argomenti!
CARDINALE 2 – Tu, povera donnicciola, avresti l’arroganza di trattare problemi di cui non conosci nulla?
PAPA – Lasciatela parlare. Ti ascolto, Caterina.

E mentre vi parlavo, padre mio Signor Papa, giunse una falsa lettera che vi avvertiva di non tornare in Italia se non volevate finire avvelenato. Anche un bambino sa che il veleno si trova così alle tavole di Avignone come a quelle di Roma. E io vi prego che voi non siate fanciullo timoroso, ma virile. E quanto ai vostri Cardinali francesi, mi pare che il consiglio dei buoni si rivolga solo all’amore di Dio, alla salvezza delle anime e alla riforma della Santa Chiesa, non all’amore di se stessi. Che la benedizione di Dio scenda su di voi.

A CATERINA DA NICOLO’ DI TULDO


Reverenda sorella e madre mia, io Nicolò di Tuldo da Perugia, prima di salire al patibolo, voglio voi ringraziare perché dalla morte mi avete riportato alla vita. La vostra visita e le vostre parole hanno portato luce nella mia disperazione e, come a me, a tanti altri disperati.

CATERINA – Dov’è il nobile Nicolò di Tuldo?
CARCERATO 1 – Ei va per la prigione come un disperato, né vuole confessarsi né udire frate o prete che gli parli della salvezza dell’anima sua.
NICOLO’ – Non voglio udire chi mi parli di quel Dio che m’abbandona sulla terra col pretesto di riprendermi in cielo.
CARCERATO 2 – Non sa darsi pace d’essere stato condannato per alcune parole dette incautamente contro lo Stato.
NICOLO’ – E’ stato facile per i Magnifici Signori e Padri, Difensori del popolo della città di Siena, accusarmi di spionaggio e solo perché sono straniero.
CATERINA – Gli uomini che si arrogano il diritto di togliere la vita, danno bensì la vita, quella celeste. Voglio vederlo.
NICOLO’ – Perché, sorella, volete ancor girare la lama nella piaga? Sono stato condannato e dannato morirò.

Ma poi ricordo le vostre dolci parole: “Confortati, fratello mio dolce, perché tosto giungeranno le nozze. Tu v’andrai bagnato del sangue dolce di Cristo, col dolce nome di Gesù, e io t’aspetto al luogo della giustizia”. Vi aspetto, Catarina, vi aspetto a ricevere il mio ultimo ringraziamento. E sono felice che la mia anima, dopo tante tribolazioni, riposi in tanta pace. Che il Signore vi benedica.

AL PONTEFICE URBANO VI IN ROMA


Signor papa, io Catarina, serva e schiava dei servi di Gesù, scrivo a voi e rinnovo tutto il mio sostegno contro coloro che mettono il dubbio sulla vostra legittimità eleggendo un antipapa che è causa di scisma e divide pericolosamente la Santa Chiesa. Venni a Roma per combattere accanto a voi contro ogni dubbio e tentennamento nel pubblico concistoro dei Cardinali.

CATERINA – Nel nome del Signore, non pensate all’amore di voi stessi, ma all’amore di Dio.
CARDINALE 1 – No siamo in guerra con Dio.
CATERINA – Sì, che lo siete, dal momento che procedete timorosi là dove Dio vi indica la retta via.
CARDINALE 2 – Ma noi amiamo Dio e agiamo in nome della Sua volontà.
CATERINA – Guardatevi intorno: vedete la moltitudine dei peccati dei sudditi e dei pastori per la ribellione fatta alla Santa Chiesa. E la guerra che ogni fedele dovrebbe essere pronto a fare contro gli infedeli e i falsi cristiani, la fanno tra di loro ponendosi l’uno contro l’altro. Signor Papa, guardate alla perdizione delle anime, piuttosto che a quella della città!
PAPA – Ecco, fratelli, quanto siamo degni di rimprovero di fronte a Dio, quanto siamo timidi di fronte a questa femminetta che ci confonde. E dico femminetta non per suo disprezzo, ma perché dovrebbe dubitare quando noi fossimo sicuri, mentre lei è sicura e mette dubbi dentro di noi e ci conforta con le sue persuasioni. Questo significa sua gloria e nostra confusione.

E così avete deciso di chiedere l’aiuto spirituale di tutti i fedeli. Fatelo, in nome di Dio, legandoli con la dolcezza più che con la forza e l’asprezza della parola. Che la benedizione del Signore scenda su di voi.

CRISTIANI DI TUTTO IL MONDO, NEL DI’ 29 APRILE DELL’ANNO DEL SIGNORE 1380, NELLA CITTA’ DI ROMA SI E’ SPENTA LA NOSTRA AMATA SORELLA, CATERINA DA SIENA, DI ANNI TRENTATRE’, DOPO VITA DI MARTIRIO E DI LOTTA NEL NOME DELLA FEDE. LE SUE ULTIME PAROLE SONO STATE QUELLE DI CRISTO SULLA CROCE: “PADRE, NELLE TUE MANI AFFIDO IL MIO SPIRITO”. ACCOGLILA, SIGNORE, E SIA FATTA LA TUA VOLONTA’. COSI’ NEI SECOLI DEI SECOLI. AMEN.


LIBERI SI DIVENTA

Dramma storico in un atto sulla difesa di Livorno dall’assedio austriaco nei giorni 19 e 11 maggio 1849.

Scena X


Addì 11 maggio 1849
Stanotte nessuno ha dormito. C'è stato un temporale fortissimo. Sembrava che anche il cielo cantasse il miserere per Livorno. Durante la notte anche il De Sarre, il Ghilardi e il Piva se ne sono andati, visto che ormai non c'è più nessun ordine da dare. Stamani è tornato il sereno. Quelli rimasti si contavano ma, nonostante lo scoraggiamento nel vedersi pochi e male armati, si ripetevano: "Resistere finché bastano le braccia e le cartucce". E poi? Poi sarà la volontà di Dio. All'alba eravamo alla barricata di via del Gran Principe.
(Si alzano le luci, ma non completamente. Si alzeranno a poco a poco. La scena è via del Gran Principe. Arriva il gruppo degli amici. Bartelloni è già sul posto, dietro le barricate)
PIERO - Ehi, Enrico, ci siamo. ENRICO - Bene, restate con me.
MASO - Com'è andata stanotte?
ENRICO - Tutto silenzio. I bersaglieri della Morte sono stati di guardia alla porta.
LUCA - Ci hanno detto che quasi tutti gli ufficiali sono scappati.
ENRICO - E' così. Quelli rimasti si contano sulle dita di una mano. Non sono più ufficiali, non hanno più ordini da dare, oggi combatteranno come soldati semplici.
CENCIO - Gli Austriaci ora cosa fanno?
ENRICO - Forse D'Aspre si aspettava la resa, ma è rimasto deluso. Comunque ha piazzato due batterie per aprire una breccia nelle mura tra San Marco e Fiorentina. (Si sentono due colpi di cannone seguiti da altri, le campane suonano, in lontananza la gente urla) Forza, si comincia! Tutti dietro le barricate! (Si abbassano con i fucili pronti a sparare. Arriva di corsa Foffo)
FOFFO - Torre ha aperto il fuoco!
PIERO - L'avevo immaginato. Gli Austriaci stanno aprendo la breccia.
MASO - Ci vuol poco, con la loro artiglieria.
FOFFO - Sulla Fortezza Nuova hanno alzato bandiera bianca. (Entra di corsa Sansone)
SANSONE - Gli Austriaci sono entrati in città.
ENRICO - Li accoglieremo come conviene.
SANSONE - Piva è rientrato stamani presto, Guarducci era a Barriera Maremmana. Gli Austriaci stanno entrando anche di lì. Sarebbe morto, se il cognato non l'avesse costretto a ritirarsi sul Molo. Anche Piva si è messo in salvo, come pure Ravenna e Frizzoni.
CENCIO - Enrico, eccoli! Sono entrati dalla breccia e hanno aperto la porta.
ENRICO - Mettetevi al riparo. Svelti, andate!
MASO - Vieni via anche tu.
LUCA - Vieni con noi, Enrico!
ENRICO - Lasciatemi, io non ho nulla da perdere, ormai. Andate, vi dico e mi raccomando: niente fuoco dalle case. (Li spinge via, imbraccia il fucile e si mette a sparare)
SANSONE - Enrico, vieni o ti portiamo via a forza!
ENRICO - Proprio tu vieni a dirmi certe cose!
MASO - Che vale a questo punto morire?
ENRICO - E' una questione d'onore.
SANSONE - L'onore l'hai già dimostrato a dovere. Prendilo, Maso.
(Lo afferrano ed escono di scena. Luca è rimasto indietro. Una fucilata lo colpisce e cade a terra. Si sentono altre fucilate)

Così, nel momento del sommo sacrificio, con le giubbe bianche che dilagavano in città, un colpo di fucile mi ha colpito di striscio ed io mi sono finto morto. Col cuore che mi batteva forte, pensavo alla mia mamma, al dolore che avrebbe provato se fossi morto per davvero. Intorno a me c'erano i corpi dei caduti per la libertà, barbaramente uccisi dagli Austriaci. Mi sono messo a piangere come un bambino. Finalmente mi sono sentito chiamare da babbo, fortunatamente sano e salvo e allora, non appena la canaglia austriaca si è allontanata alla ricerca dei patrioti nascosti, insieme al dottor Matteucci ci siamo rifugiati nella cantina di casa nostra che è un posto del tutto sicuro. Mi chiedo: che fine avranno fatto o faranno molti che si sono battuti fino all'ultimo? So che Stinco è stato colpito in pieno petto e che Ricciolo è stato ferito. Enrico per ora è al sicuro ma gli danno una caccia spietata e certamente lo prenderanno, con tutte le spie che ci sono in giro. Tanti si sono ritirati sul Molo e si sono imbarcati, ma molti hanno fatto quello che non dovevano fare: hanno sparato dai tetti e dalle case e gli Austriaci l'hanno uccisi sul posto come bestie. Qui in questa cantina, in attesa che la situazione evolva, ho composto questi versi per descrivere l'amarezza di tutto il sangue innocente sparso con tanta generosità:
              La mattina dell'undici maggio
              con il sole che spande il suo raggio
              sull'ardito popolo in lotta,
              la speranza di mettere in rotta
              il nemico crudele e spietato
              si disperde attraverso la breccia
              che fa entrare la lurida feccia.
              E’ furtiva la tenebra nera
              sugli arditi e la loro bandiera.
              Tra la gente si conta i caduti
              con gli sguardi attoniti e muti.
              Ma più forte si leva un invito:
              il Paese sia libero e unito!


LAZARILLO DE TORMES

Commedia in due atti liberamente tratta dall’omonimo romanzo picaresco di anonimo, diffusosi in Spagna nella prima metà del Cinquecento. L’opera è depositata presso la SIAE, sezione DOR.

ATTO I - SCENA III


(Il cieco e Antonia, la madre di Lazarillo, sono all’interno della locanda. Il cieco entra aiutandosi con un bastone, Antonia sta sistemando delle stoviglie)


CIECO: Ehi, Antonia, sentite!
ANTONIA: Che volete?
CIECO: Mi avete parlato di quel vostro figliolo...
ANTONIA: Chi, Lazarillo?
CIECO: Sì, proprio Lazarillo, e anche se non posso vederlo, lo sento eseguire i vostri ordini alla perfezione. Sarebbe proprio adatto a farmi da guida. So che non vi trovate in buone acque; me lo affidereste, in modo che mi aiutasse?
ANTONIA (in tono abbastanza deciso): A dire il vero, no, non mi piacerebbe che lo prendeste come servitore. Voi capite bene, suo padre è caduto in battaglia.... Era un uomo valoroso, capace... (gli serve da bere)
CIECO (al pubblico): Sì, por Dios, a contare i sacchi di grano che rubava...
(Ad Antonia) Ma che dite, Antonia..., come servitore? Io lo terrei come un figlio e vi prometto che veglierei su di lui, che non gli farei mancare niente e son sicuro che lui non farebbe mancare niente a me dopo... ehm, il mio addestramento.
ANTONIA: Oh, non lo metto in dubbio. Siete bravissimo a suscitare la pietà della gente. Le elemosine non devono certo mancarvi.
CIECO: Non mi lamento, Antonia, non mi lamento. Così, se voi siete d’accordo...
ANTONIA: E quando avreste intenzione di partire?
CIECO: Al più presto. Oggi stesso, se è possibile. Voi vedete di parlare subito a vostro figlio.
ANTONIA: Bien, gli parlerò e vedrò di convincerlo.

(Antonia scende chiamando Lazarillo, che risponde dalle quinte: ”Aquì estoy!” ed entra. Parlano sottovoce)


ATTO I – SCENA IV


ANTONIA: Lazarillo, figlio mio, è giunto il momento che tu vada per il mondo a cercar la tua fortuna. Quel povero cieco che è lì nella locanda è disposto a prenderti con sé. E’ un uomo rude, ma...

(Lazarillo scuote la testa) può insegnarti tante cose. (In tono accorato) Figliolo, già so che non ti vedrei mai più, ma, credimi non ci sono altre soluzioni.(Gli fa una carezza sulla testa. Lazarillo fa un gesto di rassegnazione) Bueno, procura di essere onesto e che Dio ti guidi. Ti ho allevato e affidato ad un buon padrone: ora aiutati da solo.

LAZARILLO: Madre, io mi sarei aiutato da solo anche restando con te, ma se tu sei contenta così...
ANTONIA: Sì, è meglio così... Una locanda non è luogo dove un ragazzino possa crescere bene. Qui arrivano avventori di ogni specie, anche persone di malaffare. E io poi, non ho la possibilità di mantenerti come vorrei. E’ meglio così, credimi. (Si abbracciano e rientrano nella locanda)

ATTO I – SCENA V


CIECO: Chi c’è?
ANTONIA: Sono io, Antonia.
CIECO: Allora, avete parlato con vostro figlio?
ANTONIA: E’ qui, è pronto per partire con voi.

(Prepara un fagotto)

CIECO: Bien, allora possiamo andare. Anch'io sono pronto.

(Prende il suo sacco, il suo sgabello pieghevole e si alza)

LAZARILLO: Madre, la tua benedizione.
ANTONIA: Che Dios ti aiuti, Lazarillo. Adios, figlio mio.

(Gli dà il fagotto. E’ emozionata, si asciuga una lacrima, mentre Lazarillo e il cieco scendono sul proscenio)

ATTO I – SCENA VI


CIECO: Vieni, figliolo, staremo bene insieme, por Dios! Oro e argento, io non te ne posso dare; ma consigli per cavartela te ne fornirò a bizzeffe. Mira, voglio mostrarti una cosa. Metti una mano qui sul mio petto e guarda in alto, verso il cielo, vedrai le stelle. Le vedi?
LAZARILLO: Veramente non vedo niente.
CIECO: Aspetta, aspetta, ora le vedrai. Guarda bene in alto, eh....

(lo punge con uno spillone)

LAZARILLO: Ahi! Che male! (Entrano in scena due donne per la spesa e un uomo)

CIECO: Te l’ho detto che avresti visto le stelle!
LAZARILLO: Cominciamo bene...
CIECO: Brutto scimunito, sappi che l’accompagnatore del cieco deve saperne una più del diablo, por Dios

! (Gli allunga uno scappellotto tenendolo fermo, poi lo lascia)

LAZARILLO (a solo): Costui dice il vero. Debbo stare all’erta perché sono solo al mondo e debbo imparare a cavarmi da ogni impiccio.
CIECO: Ora osserva bene, Lazarillo, tu che lo puoi fare, e impara.

(Si mette a pregare con aria devota. Si avvicinano le due donne e l’uomo)
Senores y senoras, muyeres y caballeros, fate la carità a un povero cieco colpito dalla più grande sciagura del mondo. Per qualche spicciolo volete che preghi per l’anima di un parente defunto? Posso dare rimedi a donne sterili, a quelle vicine al parto, a quelle trascurate dal marito. Posso fare pronostici sul nascituro e curare le malattie meglio dei grandi medici, meglio di Galeno e di Ippocrate...

PRIMO PASSANTE: Ho un terribile mal di denti, specialmente quando mangio. Datemi un consiglio...

(Il cieco tende la mano e riscuote. Entrano altri passanti)

CIECO: Dios ve ne renda merito, fratello. Dicevate, del vostro mal di denti?
PRIMO PASSANTE: Ho un dolore tremendo, quando mangio.
CIECO: Facilissimo, non mangiate.
PRIMO PASSANTE: Ma mi tormenta anche quando bevo..
CIECO: E voi non bevete.
PRIMO PASSANTE: Ma anche quando parlo e anche quando sto zitto...
CIECO: E voi non parlate né state zitto. Provate a fischiettare.
PRIMO PASSANTE: Fischiettare senza mangiare, senza bere.... Ma in breve finirò morto.
CIECO: Vi assicuro che anche così avrete risolto il vostro problema. Andate e ascoltate le mie raccomandazioni.

(Il passante se ne va fischiettando e intervallando il fischio con degli “Ohi!”. Esce anche la donna)

SECONDO PASSANTE: Buon vecchio, voi sì che potete darmi un buon consiglio... Mia moglie, quando mi avvicino a lei, è colta da svenimenti...

(Il cieco e Lazarillo ed eventualmente altri presenti cominciano ad annusare l’aria con fare disgustato)

CIECO: Lo credo bene. Por Dios, che mestiere fate per potervi presentare con simili credenziali?
SECONDO PASSANTE: Il mercante di aringhe, per servirvi. Io passo tutto il santo giorno nei miei magazzini tra le mie merci e quando torno a casa la sera vorrei trovare una moglie affettuosa, gentile, invece quella prima mi guarda stravolta e poi sviene. Avete qualche suggerimento da darmi?
CIECO: Senz’altro. Cambiate mercanzia.
SECONDO PASSANTE: Che volete dire? Ha a che vedere qualcosa la mia mercanzia con gli svenimenti di mia moglie?
CIECO: Più di quanto non pensate, por Dios. Vedete, signore, l’aringa fa bene al palato, ma disturba le vie respiratorie... delle signore. Andate a casa e portate a vostra moglie un flacone di essenze di Valencia. Ve ne sarà grata.
SECONDO PASSANTE: Io non capisco, sono stato sempre un marito affettuoso, io...

(mentre si allontana, si annusa le vesti. Lascia l’elemosina)

CIECO: Dios vi ricompenserà nei cieli, dove tutto è gioia e profumo.
TERZA PASSANTE: Buon uomo, aspetto un figlio. Vorrei sapere da voi se sarà maschio o femmina.
CIECO: Prendete un boccale d’acqua di sorgente, se essa vi apparirà limpida e fresca nascerà un maschio, se invece la troverete ristoratrice e cristallina, farete una femmina.
TERZA PASSANTE: E’ un nuovo metodo?
CIECO: E’ anzi vecchissimo, por Dios. Serve a tutto come a niente. Non vi fidate forse di me, por Dios?
TERZA PASSANTE: Lungi da me questo pensiero. Il fatto è che mio marito desidera molto un figlio maschio, dopo la nascita di sei femmine.
CIECO: Allora mandatemi vostro marito, por Dios! Per un modesto compenso curerò lui e forse la prossima volta andrà meglio.
TERZA PASSANTE: Gracias, tenete...

(Si allontana)

CIECO:

(tastando le monete mentre si incammina)

Due bianche e un maravedì. Non male, non male... anche se poteva andare meglio. Anzi, por Dios, direi che mi è sempre andata meglio di ora. Beh, mi rifarò. Ci deve essere qui vicino una locanda dove in passato ho fatto affari d’oro.
LAZARILLO: Sì, una locanda è proprio dietro di noi.
CIECO: Non vedo l’ora di distendere queste mie povere ossa.

(Entrano nella locanda)

ATTO I – SCENA VII


LAZARILLO

(a solo)

: Era ora. Il mio stomaco brontola come un tuono di temporale. (Il cieco apre con circospezione un sacco di tela e ne trae un bel pezzo di pane da cui stacca un frammento porgendolo a Lazarillo che lo mangia in un boccone) Zio, un altro pezzetto... Sono digiuno da stamani e ho tanta fame...
CIECO: L’ingordigia è peccato mortale, caro mio. Por Dios, non vorrai mica costruirti la strada per l’Inferno con le tue mani!

(Entra l’oste)

OSTE: Benvenuto, buon uomo. Era un po’ che non vi si vedeva da queste parti.

(L’oste si mette a parlare con il cieco, con pacche sulle spalle e grosse risate, mentre Lazarillo taglia il sacco, ne toglie un bel pezzo di pane e ricuce il taglio)

LAZARILLO: (a parte)

Ho bell’e capito. Qui bisogna aguzzare l’ingegno. Meno male ho portato con me questo coltellino che penso possa servire, all’occasione. E penso che sarà utile l’ago che mia madre ha messo nella bisaccia...
CIECO: Oste, da bere.
OSTE: Come, bianco o tinto?
CIECO: Vada per il tinto. Ho mangiato più di quanto pensassi.

(Soppesa la sacca)

Si è alleggerita di parecchio... Lazarillo, dove sei?
LAZARILLO:

(masticando e buttando di colpo giù il boccone)

Sono qui, zio...
CIECO: Por Dios, stai masticando ancora, vero? E ti lamentavi che il pane fosse poco...
LAZARILLO: Eh, già non mi devo più lamentare per stupidaggini del genere. Ci penserò io a tenere a bada il mio stomaco...

(a solo)

Imparerò alla perfezione le tecniche del taglio e del cucito.

(Arrivano diversi avventori che salutano il cieco)

CIECO: Ben arrivati, mis amigos... Che il Signore vi benedica. Una mezza pinta, locandiere. Chi vuole che reciti per lui una preghiera, un Pater Noster… un’Ave Maria...
PRIMO CLIENTE: Un'Ave Maria per la mia vitella ammalata, buen hombre.
CIECO: Come ve la devo dire? A prezzo intero o dimezzato?
PRIMO CLIENTE: Non immaginavo che le preghiere avessero prezzi diversi come merci qualsiasi.
CIECO: Dipende dalla gravità del male, por Dios! Quanto è malato l’animale?
PRIMO CLIENTE: Dipende da quanto mi costa....
CIECO: E’ il tono che costa: due bianche per un tono solenne e ben scandito adatto per malattie gravi, un’offerta libera per un tono più rapido e conciso. Quanto è malata la vitella?
PRIMO CLIENTE: E’ solo un po’ azzoppata.
CIECO: Allora, vi va bene la tariffa ridotta?
PRIMO CLIENTE: Muy bien, l’ho lasciata che stava già meglio...

(Mentre il cieco prega a velocità supersonica Lazarillo beve del vino e mostra di gradirlo. Un’altra sorsata. Il cliente dà una bianca al cieco, Lazarillo la prende al volo e la cambia con un’altra moneta più piccola nascondendo subito l’altra)

CIECO: Dios ve ne renda merito... Chi vuole una preghiera?
SECONDO CLIENTE:

(offrendo una moneta che Lazarillo cambia tempestivamente)

Volete recitare un Salve Regina per i miei affari?
CIECO: Che genere di affari?
SECONDO CLIENTE: Devo riscuotere dei crediti da un nobile.
CIECO: Che genere di nobile?
SECONDO CLIENTE: Un nobile decaduto, ma un gran senor nel portamento, nelle parole...
CIECO: Vi converrebbe contentarvi delle parole e rinunciare ai denari.
SECONDO CLIENTE: Ma con l’aiuto de Dios...
CIECO: Seguro, seguro... Con l’aiuto de Dios e delle mie preghiere. Ma occorrerà molto tempo, occorreranno molte preghiere...
SECONDO CLIENTE: Cominciate con un Salve Regina, vi prego. Domani, se non avrò ottenuto ragione, tornerò da voi.

(Gli dà una moneta)

CIECO:

(comincia a pregare, poi si interrompe)

Aspettate che mi schiarisca la voce.

(beve)

Por Dios, com’è che da queste parti le pinte son più piccole?
LAZARILLO:

(leggermente brillo)

La locanda è umida, si vede si restringono...
CIECO:

(dubbioso)

Uhmmm... Una preghiera per qualcuno, un rimedio?
TERZA CLIENTE:

(solita scena per la moneta, poi Lazarillo dà un’altra sorsata)

C’è un rimedio per i mariti brontoloni?
CIECO: Por Dios, che dite mai, mia graziosa dama? Io prego per il bene degli altri, non per arrecare loro un danno. (A bassa voce) Comunque, se proprio insistete, dategli da bere questa fiala e non se ne parli più. In pochi minuti ve lo sarete tolto d’intorno per sempre.
TERZA CLIENTE: Per carità de Dios, non intendevo arrivare a tanto. Il mio sposo è un uomo generoso, un galantuomo, ma ha il brutto vizio di avere sempre qualcosa da ridire: il cibo o è troppo caldo o troppo freddo, il tempo troppo secco o troppo umido, gli abiti troppo stretti o troppo larghi. Insomma, alla fine della giornata chi gli sta intorno non vede l’ora che se ne vada a dormire. Per questo mi sono rivolta a voi. Non avete nulla che gli tolga la parola per qualche giorno?
CIECO: Por Dios, mostratevi a lui la mattina appena alzata senza belletto e spettinata. Vedrete che non vi rivolgerà più la parola per qualche tempo.
TERZA CLIENTE: Mi sembrate piuttosto impertinente, caro il mio vecchio. Comunque tenete e che Dios sia con voi.

(Si allontana, il cieco tasta i soldi ricevuti in elemosina)

CIECO: Come diavolo si spiega che da quando sei con me non mi danno più che mezze bianche, mentre prima mi pagavano con una bianca o con un maravedì? Por Dios, devi essere tu a portarmi sfortuna

(gli allunga uno scappellotto)

Su, spostiamoci nella spiazza e vediamo se le cose vanno meglio.

(Scendono in proscenio e Lazarillo cerca di ostacolare il cammino del cieco in modo che inciampi)

Que te parta un rayo! Ti sei già dimenticato che sei la mia guida e che per questo ti porto con me?

(Il cieco con il bastone cerca di colpirlo. Incontrano un contadino con un cesto di uva)

CONTADINO: Buen hombre, perché trattate così male questo povero ragazzo? Che cosa vi ha combinato perché lo prendiate a bastonate?
CIECO: Credete forse che questo ragazzo sia un innocentino? Por Dios, me ne combina più del diavolo, è ladro, impostore e non ha nessun rispetto per me che l’ho salvato dalla miseria più nera e che lo tratto come un figlio.
CONTADINO: Se la cosa sta così come dite, merita senz’altro una punizione. Castigatelo, castigatelo pure. Dios ve ne renderà merito.
LAZARILLO:

(tra un colpo e l’altro)

Ma chi l’ha mandato questo?
CONTADINO: Mira, voglio regalarvi questa bella pigna d’uva. Quest’anno il raccolto è particolarmente abbondante. Sentite che uva dolcissima!
CIECO: Gracias, amigo, per la vostra bontà. Vi auguro tutto il bene possibile.

(il contadino si allontana).

Ora voglio essere generoso con te: mangeremo insieme questo grappolo d’uva piluccando una volta per uno, ma mi devi promettere di non prendere mai più di un chicco. Lo stesso farò io, fin quando lo avremo finito e così non ci sarà nessun imbroglio.

(Cominciano a piluccare, ma il cieco prende più di un acino alla volta e lo stesso comincia a fare Lazarillo in una gara a chi arraffa di più, finché il cieco rimane con il raspo in mano)

Lazarillo, tu mi hai ingannato. Giurerei dinanzi a Dios che hai mangiato i chicchi tres alla volta.
LAZARILLO: Ma perché questo sospetto?
CIECO: Sai da che cosa me ne sono accorto? Dal fatto che io ne staccavo due alla volta e tu non protestavi. Por Dios, non farlo più o te ne pentirai. Torniamo alla locanda per cenare e ricordati che alla prossima che mi combini te ne darò tante che te ne ricorderai finché campi.
LAZARILLO:

(a solo)

Secondo lui, quelle che mi ha dato finora servivano a carezzarmi le spalle?

(Si sente il rumore di un tuono)

CIECO: Si avvicina un temporale. Vieni, entriamo. Tieni, Lazarillo, prendi questa salsiccia e fattela arrostire.

(Entrano nella locanda)

ATTO I – SCENA VIII


LAZARILLO: Ma non c’è nessuno.
CIECO: Non importa, (annusando l’aria) sento che il fuoco è acceso, vai ad arrostirla tu.

(Lazarillo tira fuori dalla bisaccia una rapa e la infila al posto della salsiccia sullo spiedo del braciere e si affretta a trangugiare la salsiccia)

Allora, Lazarillo, por Dios, è cotta la mia salsiccia? Ricordati di rosolarla ben benino, il grasso deve sfrigolare sul fuoco, la pelle deve avere un colore dorato senza essere bruciacchiata. Mi raccomando, eh? Sento già l’acquolina in bocca, anche se non mi giunge alcun profumo.

(Lazarillo gli porge la rapa che il cieco addenta con voracità e che sputa immediatamente) Por Dios, che significa questo, Lazarillo?

LAZARILLO: Qualcosa non va? Non è buona la salsiccia, zio? Ma perché mi trattate in questo modo? Che ho fatto questa volta?

(Il cieco lo agguanta e gli infila il naso in bocca. Sentendo l’odore della salsiccia lo strapazza)

CIECO: Ecco, cane maledetto, dov’è finita la mia salsiccia. Por Dios, è un pezzo che ti tengo d’occhio (faccio per dire) e già da tempo ho cominciato a dubitare della tua onestà. E’ così che mostri riconoscenza per chi ti ha salvato dalla rovina?
LAZARILLO:

(piagnucoloso)

Non è la mia volontà che mi spinge a comportarmi così, è il mio stomaco. Zio, io ero abituato a mangiare poco, ma un poco due volte al giorno. Ora i miei digiuni sono talmente lunghi! Il mio stomaco brontola senza sosta da mattina a sera e la testa risponde solo allo stomaco, non vuol sentire altre ragioni.
CIECO: Por Dios, hai fortuna che sono cieco, altrimenti ti avrei fatto schiarire un po’ le idee a suon di busse. Vieni, intanto accompagnami sotto i portici, poi deciderò cosa fare di te.

(Si avviano per strada e si sentono ancora i tuoni di un forte temporale).

ATTO I – SCENA IX


CIECO: Lazarillo, tornerà senz’altro a piovere. Abbiamo fatto male ad uscire, non c’è un cane in giro. Incamminiamoci verso il paese vicino. Cos’è questo rumore?
LAZARILLO: Zio, è il ruscello in piena; ma se volete, vedo un punto dove potremo attraversarlo senza bagnarci. Spiccando un salto eviteremo d’inzupparci i piedi.
CIECO: Por Dios, sei un muchacho assennato; per questo, nonostante le apparenze, ti voglio bene. Conducimi dunque il quel punto: siamo d’inverno, l’acqua non fa piacere e meno ancora avere i piedi bagnati.
LAZARILLO: Appoggiatevi a me, zio. (Lo conduce verso la quinta di fondo) Ecco, questo è il punto più stretto.
CIECO: Ora mettimi bene in direzione.
LAZARILLO: Su, zio, saltate più forte che potete. Io vi aiuterò.

(Il cieco salta, aiutato da Lazarillo che gli dà un pedatone, sparisce dietro l’ultima quinta dando un grande urlo).

Por Dios e por todos los santos, come mai sentiste l’odore della salsiccia e non siete riuscito a sentire quello del dirupo? Evviva! Olé!

(Corre via, fa più giri intorno alla pedana dando il tempo ai personaggi del mercato di cambiare la scena: il bancone diventa un letto, restano il tavolo e gli sgabelli, da una parte c’è una madia e dall’altra una cesta con della legna. Infine Lazarillo si scontra con un prete che sta leggendo il breviario e cadono tutti e due in terra)

VIAGGIO SEMISERIO NEL MEDIOEVO

Commedia per ragazzi in due atti vincitrice del concorso “Sette autori sette commedie” pubblicata in “Teatro per i ragazzi – Sette autori sette commedie” Erga edizioni, Genova, 2000. L’opera è depositata presso la SIAE, sezione DOR.

SCENA SETTIMA


CATERINA – Aiutatemi, di grazia, Giannotto mi sta inseguendo!
JESSICA – Chi è Giannotto, un pedofilo?
PIF – Sei insopportabile! (Indica il giovane che è entrato correndo) Ecco Giannotto!
JESSICA – Discreto parecchio, a parte il nome! (A Caterina) Perché hai paura di lui?
CATERINA – Perché mi importuna con le sue dichiarazioni d’amore.
JESSICA – Calma, ora ci penso io. Senti, Giannotto, togliti di mezzo. La signorina non gradisce le tue attenzioni. (Giannotto declama i suoi versi senza considerarla)
GIANNOTTO - Rosa fresca odorosa che appari con l’estate,
                         le donne ti desiderano, fanciulle e maritate.
                         Liberami dal tormento, se ne hai volontate:
                         per te pace non ho la notte e il dia
                         pensando solo a te, madonna mia.
JESSICA – Sentilo, il romanticone!
CATERINA -     Se per me non hai pace, follia te lo fa fare.
                         Il mar potresti arare, i venti seminare,
                         Le ricchezze del mondo tutte quante assembrare:
                         essere non potresti lo mio sposo,
                         piuttosto, te lo giuro, io mi toso.
JESSICA – Okey, bel colpo! Proprio all’ultima moda! Capito? Lei si tosa!
GIANNOTTO - Se ti tosi i capelli, preferisco esser morto
                         ché perderei con essi la mia gioia e conforto.
                         Quando passo e ti vedo, rosa fresca dell’orto,
                         gran gioia tu mi doni a tutte l’ore,
                         facciamo che si unisca il nostro amore.
JESSICA – Ehi, frena, giovanotto. Per chi l’hai presa?
CATERINA -     Unire il nostro amore? Cadrei dall’altezza,
                         ché in brutte mani sarebbe mia bellezza.
                         Se questo mi accadesse, taglierei la mia trezza
                         e suora mi farei dentro un convento
                         né di toccarmi ti farei contento.
JESSICA – Esagerata! Sentito bene? Si farebbe suora!
GIANNOTTO - Se ti facessi suora, o trecce mie adorate,
                         verrei al convento e anch’io mi farei frate,
                         mettetemi alla prova e pure voi mi amate.
                         Con te starei tutte mattine e sere
                         e vedrai ti trarrei in mio potere.
JESSICA – Prepotente! Maschilista!
CATERINA -     Ohimè, tapina misera, che destino avversato!
                         Gesù Cristo l’Altissimo con me certo è adirato:
                         mi mise al mondo per un uomo scostumato.
                         Cerca per tutte terre grandi assai,
                         più bella donna di me tu troverai.
JESSICA – Ma guarda che sei bellina davvero, sai? E anche lui… mica male!
GIANNOTTO - Ho cercato in Calabria, Toscana e Lombardia,
                         Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa e Sorìa,
                         Lamagna e Babilonia e tutta Barberia:
                         donna non ci trovai tanto carina
                         e perciò fo di te la mia regina.
JESSICA – Senti, bello, è meglio che tu cambi aria un’altra volta.
CATERINA -     Poiché ti affanni tanto, ti faccio una preghiera,
                         che mi vada a chiedere a mio padre e mogliera.
                         Se di darmi ti degnano, facciamo cosa seria
                         e sposami in chiesa davanti alle genti
                         e poi sottostarò ai tuoi comandamenti.
JESSICA - Non lo potevi dire subito che ti piaceva da morire?
CATERINA - No, non sta bene che la donna ceda subito alla corte di un uomo. (Esce rincorsa da Giannotto)
JESSICA - Ah, non sta bene? Chissà cosa penserebbero di noi ragazze moderne, che li rincorriamo i ragazzi che ci piacciono.

SCENA TREDICESIMA


JESSICA - E ora? Non posso vedere un torneo?
PAF - No, mi dispiace, da ora non più, almeno non di questo tipo. Si continuerà a fare tornei, ma con armi di legno o spuntate, impersonando i cavalieri della Tavola Rotonda, e vi parteciperanno persone di ogni ceto, senza spargimento di sangue. E’ da qui che nascono le feste paesane dei tuoi tempi che commemorano questi fatti. E poi, ora i cavalieri hanno da fare ben altro.
JESSICA - C’è una guerra in vista? Allora portami via subito.
PAF - No, qui sei al sicuro. Vanno in Terrasanta per le Crociate.
JESSICA - Ah, mi ricordo, per la liberare il Santo Sepolcro dalle mani dei Turchi.
PAF - Esattamente.

(Musica di “L’Armata Brancaleone”)

JESSICA - Ma partono proprio tutti i cavalieri?
PAF - Sì, e non solo quelli. Alle crociate partecipano anche i Templari.
JESSICA - E chi sono?
PAF - Si tratta di un ordine religioso-militare che ha il compito di difendere gli stati cristiani in Terrasanta e i pellegrini che si recano a Gerusalemme.
JESSICA - La Chiesa non dovrebbe essere pacifista? E i monaci vanno a combattere?
PAF - Eh, con la scusa delle guerre sante... Ma non divaghiamo. Partono anche avventurieri, masse di miserabili in cerca di fortuna. Si parla molto di favolose ricchezze in oriente e del resto i sovrani non vedono l’ora di levarsi di torno i vassalli più irrequieti e turbolenti. Senza contare che combattendo o recandosi in pellegrinaggio, si può ottenere l’indulgenza plenaria di tutti i peccati. (Entrano 4 donne da quattro punti diversi)
JESSICA - Chissà quante donne rimarranno sole! Quelle là salutano i partenti?
PAF - Sì. Vuoi ascoltarle?
JESSICA - Certo.

(Vanno dietro l’albero)

SCENA QUATTORDICESIMA


DONNA 1 -       Già mai non mi conforto
                         né mi voglio rallegrare.
                         Le navi sono al porto
                         ed or voglion salpare.
DONNA 2 -       Io non mi posso confortare
                         né in letto né in via:
                         in terra d’oltremare
                         ci sta la vita mia!
DONNA 3 -       Santus, santus, santus Dio,
                         che la Vergin creasti,
                         salvaguarda l’amor mio
                         che lontan da me mandasti.
DONNA 4 -       Oh alta divinità
                         temuta e adorata,
                         la mia dolce metà
                         ti sia raccomandata.
(Sventolano fazzoletti in segno di saluto, poi escono)
JESSICA - Poverette, che tristezza!

AVANTI, C’E’ POSTO!

UN CARROZZONE CHIAMATO TIVU'

Atto unico per ragazzi scritto con la collaborazione di Barbara De Bernardo.

SCENA III

(La scena si svolge in uno studio televisivo. Entra il conduttore)

CONDUTTORE - Buonasera, cari telespettatori, siamo di nuovo al QUID SHOW, il quid che vi lascia col fiato sospeso!

(Allunga le braccia e muove le mani come un ipnotizzatore, fa una risatina sciocca)

Ah, come sono bravo! Come sono simpatico! Ed ecco a voi il concorrente di questa sera, il signor Dondolini da Perugia.

(Il concorrente gli porge la mano, si siede su una sedia a dondolo e comincia a dondolarsi) Si concentri bene, mi raccomando!

CONCORRENTE - Non si preoccupi, mi dondolo appunto per concentrarmi

(Il concorrente si dondola più velocemente, fa più volte cenno di voler parlare, ma non viene preso in considerazione)

CONDUTTORE - Si ricordi che sono in palio stramilioni, con il quid che vi lascia col fiato sospeso!

(Allunga le braccia come prima)

Come sono bravo, come sono simpatico! E' pronto, signor Dondolini da Perugia? E' concentrato?
CONCORRENTE - Più concentrato di così! Se dondolo di più, finisce che casco per terra!
CONDUTTORE - Ora le luci vanno giù e non si sbaglia più! Come sono bravo!

(Si abbassano le luci. Alessio prende il posto del concorrente e si dondola sulla sedia). Le ricordo che ha a disposizione 111 secondi. Cominciamo con una domandina di geografia. Per regalarle due stramilioni, mi dica: quanti millimetri di pioggia cadono annualmente a Topopilla, in Cile? Vediamo le opzioni: 337,2 oppure 337,5 oppure 337,6 oppure 337,9. (Alcuni secondi di silenzio. Il conduttore gira intorno alla sedia di Alessio, la ferma e parla scandendo piano) Allora, signor Dondolini, quanti millimetri di pioggia cadono annualmente in Cile? Annualmente significa ogni anno, naturalmente. 337,2 oppure 337,5 oppure a Topopilla, in Cile, cadono 337,6 millimetri di pioggia o 337, 9, sempre a Topopilla in Cile?

ALESSIO - Se si toglie, mi fa un favore: mi impedisce di concentrarmi.

(Il conduttore si allontana e Alessio riprende a dondolarsi)

CONDUTTORE - Forza, signor Dondolini, ché il tempo sta per piovere, volevo dire… per scadere! Come sono simpatico! Forza, mi dia la risposta.
ALESSIO

(con visibile sforzo di memoria e molto lentamente)

- 237,5.
CONDUTTORE - A me risulta 237,6.

(Rivolto ad immaginari giudici)

Cosa dicono i nostri giudici? Via, non teneteci col fiato sospeso! Ah, come sono spiritoso! Confermate che la risposta giusta è 237,6? Mi dispiace, dobbiamo salutarci, signor Dondolini.
ALESSIO: - Eppure… E' la goccia che ha fatto traboccare il vaso… volevo dire il pluviometro. Devono aver considerato anche quella.
CONDUTTORE - Arrivederci e buona fortuna.

(Alessio esce)

Ed ecco il prossimo concorrente.

(Entra un altro concorrente con un tic che gli fa girare rapidamente la testa da un lato)

Benvenuto, signor Ticchetti. Lei viene da Verona, vero?

(Il concorrente gira la testa)

Ah, no? Da Lucca? Nemmeno? Da Milano? Neppure? Ma che copione mi avete dato? Non importa, lei viene da dove le pare. Andiamo avanti. E' a suo agio, signor Ticchetti?
TICCHETTI - Sì.
CONDUTTORE - Sì? No? Non la vedo molto convinto. Dunque, la domanda riguarda "I Promessi Sposi".
TICCHETTI - Benissimo.
CONDUTTORE - Ah, vedo che ora è più sicuro di sé. No? Sì? No? Mi sta venendo un cerchio alla testa. Come sono disgraziato! Ecco la domanda: cosa mangiò Renzo all'osteria della Luna Piena? Eh, cosa mangiò? Stavolta faremo una domanda secca, senza opzioni. A lei la risposta.
TICCHETTI - Renzo mangiò delle polpette.
CONDUTTORE - No, no, NO! Stufato! Sa cos'è lo stufato? No? Sì? Ho la vista un po' annebbiata. Sono dolente, signor Ticchetti, Renzo mangiò dello stufato. Quindi lei ha sbagliato e dovrebbe togliersi di… (fa il gesto di andarsene, ma si riprende) no, volevo dire, avrebbe dovuto togliersi il pensiero di questo gioco, ma la fortuna ha voluto che fosse estratta per lei l'opportunità di rispondere ad un'altra domanda. E' pronto? Sì? No? Ora si ricomincia! E' PRONTO?
TICCHETTI - No, no, non posso proprio rispondere. Mi è rimasto tutto lo stufato sullo stomaco.

(Esce con una mano sullo stomaco, mentre il conduttore si deterge il sudore e si fa vento col fazzoletto)

CONDUTTORE - Andrà meglio con la prossima concorrente.

(Entra una vecchia zitella vestita in modo molto stravagante e con una maschera da strega)

Buonasera, signora Bellocchio.
BELLOCCHIO - Signorina, prego. Ci tengo, eh?
CONDUTTORE - Certo, certo. Non avevo dubbi.

(Lei lo guarda male)

Voglio dire sul fatto che lei risponderà benissimo alla domanda che le farò. Piuttosto, sta comoda?
BELLOCCHIO - Questa sedia… ecco, non è molto comoda.
CONDUTTORE - Provvedo subito.

(rivolto all'interno)

Per favore, una sedia adatta alla signorina.

(Qualcuno porta una scopa)

Va bene, così?
BELLOCCHIO (ridendo)

- Ah, che gentile, ha voluto darmi un portafortuna. La terrò qui accanto a me.
CONDUTTORE - Bene, passiamo alla domanda. Vedo che riguarda le scienze. Anche per lei una risposta senza opzioni. Siamo pronti?
BELLOCCHIO - Prontissimi.
CONDUTTORE - Se alle ossa umane ne togliamo 25, ne aggiungiamo 40, le moltiplichiamo per 2 e le dividiamo per 6, che animale otteniamo?
BELLOCCHIO - Mah… non vorrei sbagliare.
CONDUTTORE - Su, signorina. Le ripeto. abbiamo le ossa umane, ne togliamo 25, ne aggiungiamo 40, le moltiplichiamo per 2 e le dividiamo per 6, che animale otteniamo? Su, che animale?
BELLOCCHIO - Lei, senza dubbio.
CONDUTTORE - Oh, no, un mostro no!

(Bellocchio prende la scopa e se ne va)

Come sono a terra!

(Mettendosi a sedere sconvolto e cominciando a dondolare

Pubblicità, per favore!

SCENA IV


(Musica per lo stacco pubblicitario. Entrano due signorine paffutelle che si muovono come robot)

SIGNORINA 1 – Polivitaminiche, ultranutrienti / son gustose e non rovinano i denti./ Via i frigoriferi, via le cucine, / le tieni in tasca tanto son piccine.

(Le offre ad Alessio)

ALESSIO – No, grazie, domani ho una gara. Non vorrei risultare dopato.
SIGNORINA 2 – Che c'è oggi nel menù? / Gli spaghetti col ragù, / pollo arrosto e patatine, / macedonia e tre tortine.
ALESSIO - Ho detto di no!

(Spenge il televisore con il telecomando)

SCENA V


PROF. - Avete visto? Cosa si può concludere? E' più importante sapere i millimetri di pioggia o ricordarsi di guardare il cielo prima di uscire per non scordarsi l'ombrello? Sono più importanti le polpette di Renzo o la vita nella Milano del '600 descritta da Manzoni?
ALUNNA - Ma non dice sempre che bisogna sapere tutto?
PROF. - Sì, ma senza cadere nell'assurdo. Cosa diresti se ti facessi fare una ricerche sulle vicende amorose del pidocchio?

(Tutti ridono. La prof. si rivolge ad un'alunna)

Cosa ne pensi della funzione della TV nella vita degli anziani?
ALUNNA - E' vero! La mia nonna con le sue amiche guarda sempre tutte le telenovelas. Salta anche il pranzo, per non perdersele. Diventerà anoressica! Ma quella che preferisce è BRUTTIFULL.

SCENA VI


(La scena si svolge in un salotto. Entra Bridge)

LOOK

dall'interno)

- Sei tu Bridge? Ciao, tesoro!
BRIDGE - Ciao Look! Cosa stai facendo?

LOOK

(entrando con un piatto)

- Sei stanco, caro? Ti ho preparato il tuo piatto preferito, amore mio: salmone e broccoli.
BRIDGE - Odio il salmone, lo sai. Quello è il piatto preferito di mio padre.
LOOK - E' vero, hai ragione. Quando ero sposata con lui non faceva altro che mangiarne. Allora vado a preparare salsiccia e funghi.
BRIDGE - Odio anche le salsicce. Quelle sono la passione di mio fratello.
LOOK - Ho sbagliato di nuovo. Quando sposai tuo fratello litigai con lui per via delle salsicce. Con tutti i mariti che ho avuto, faccio un po' di confusione. Mi è sempre successo. A tuo fratello compravo camice che piacevano a tuo padre e a tuo padre compravo le cravatte che tu adori. Ma lo sai, sono sempre stata follemente innamorata di te. Ti vedo un po' giù di corda, o sbaglio, amore mio?
BRIDGE - Sono preoccupato per la nuova sfilata. Devo subito uscire, mi devo occupare degli ultimi particolari.
LOOK - Ma vedrai che andrà tutto benissimo.

(Avvicinandosi)

Perché invece non passiamo la serata io e te, insieme, soli soletti nel nostro nido, passerottino mio?
BRIDGE - Ti ho detto che non posso. Ho già fissato degli appuntamenti.

(Look si mette a piangere)

E smettila con tutti questi piagnistei! Piuttosto, ti ricordi che deve arrivare dalle Antille mio cugino Charles, vero?
LOOK - Certo, non sono mica scema. E com'è questo tuo cugino? E' affascinante come tutti gli uomini della tua famiglia?
BRIDGE - E' belloccio, sì. LOOK - Davvero? E a che ora arriva?
BRIDGE - Devi andare a prenderlo all'aeroporto tra due ore.
LOOK - Meraviglioso! Vado subito a togliermi questi straccetti. Voglio essere presentabile.
BRIDGE - Ma sei bellissima così! Non ti eri già cambiata per me?
LOOK - Certo, ma ora mi sembra che Charles meriti un'accoglienza straordinaria.
BRIDGE - Hai troppa ragione. Sai cosa faccio? Vengo anch'io all'aeroporto. Conosco quel tuo modo di fare e non vorrei che tu…, che anche lui… insomma… ci siamo capiti.
LOOK - E la sfilata? E i tuoi appuntamenti?
BRIDGE - Andrà tutto avanti anche senza di me.

SCENA VII


(Lungo una scala comincia la sfilata di moda)

PRESENTATRICE - Benvenuti, signori, alla sfilata della prestigiosa casa di moda Cornaster che ha ideato per voi abiti in perfetto tono con i mesi più significativi e amati dai vip. (Cominciano a scendere le modelle e via via la presentatrice illustra il mese che esse rappresentano. Ogni volta c'è un applauso, mormorii di meraviglia) Ecco Febbraio: a Carnevale ogni scherzo vale.
SPETTATORE 1 - Lo voglio prendere per la prossima festa. Chissà come sarà contenta mia moglie!
SPETTATORE 2 - Un po' ingombrante, ma carino
PRESENTATRICE - Per voi Aprile, dolce dormire. E arriva Maggio, il mese delle rose.
SPETTATRICE 1 - Questo mi piace proprio
SPETTATRICE 2 - E poi per cinquemila dollari… regalato!
PRESENTATRICE - Finalmente Luglio, tutti al mare a mostrar le chiappe chiare.
SPETTATRICE 3 - Non fa per me. Odio il mare!
SPETTATRICE 4 - Se è per questo, anch'io. Ma con un costume come quello hai sicuramente gli occhi di tutti addosso.
PRESENTATRICE - Avanza Settembre che i dolci grappoli arrubina. Ed eccoci infine a Dicembre: che cuccagna! Qui se magna!
SPETTATRICE 5 - Stupendo! Sembra di Armani.
SPETTATRICE 6 - Ma no, che dici! Macché di Armani, è di cotone!

(Applausi)