PERCHE’ NON VAI?


   Perché non vai
   dietro il respiro dell'anima
   sull'ampie gelate del nord,
   sui soffi roventi del deserto,
   tra l'erba ruminata delle praterie,
   nell'umido groviglio di foreste,
   sulle creste spumose del mare,
   in mezzo a baracche metropolitane?
   Perché non varchi
   i limiti del tuo vivere?
   Vedrai coi tuoi occhi il Mondo,
   variamente uguale,
   ugualmente vario.
   Imparalo a memoria:
   è il libro più bello
   anche nelle pagine strappate.
   Tocca il corpo di un bambino,
   uno qualunque,
   lo troverai caldo,
   palpitante come il tuo.
   Ascolta la voce di un vecchio;
   anche senza capire parole
   lo sentirai saggio e pacato.
   Così è ogni nonno
   quando racconta
   come ha scoperto la vita.

RAGAZZO SAHARAWI


   Vorrei incontrarti
   in un mondo pulito
   coi sogni dei bambini
   che trascorrono
   come granelli di sabbia
   tra le dita.
   Ti fa grande
   il coraggio di vivere,
   la memoria dei padri,
   l’ansia di libertà.
   Forse mi insegneresti
   a crescere,
   come te.

TRAMONTO


   Batuffoli
   di bambagia già candida
   intrisi
   nella disperazione orizzontale
   del sole che torna a morire.

   E' l'ora
   che falcidia i pensieri
   e li porta
   sulla via di paure ancestrali:
   è la ferita quotidiana
   del mondo.

IO SONO DONNA


   Io sono donna perché
   vesto i panni umili
   di tutte le donne
   che mi hanno preceduto,
   racchiudo in me
   ingiustizie ataviche,
   eppure so attendere,
   senza impazienza,
   il momento del riscatto.
   Io sono donna quando
   riesco a sopportare
   sofferenze e dolori,
   senza volgere il dito accusatore
   contro l'intero mondo.
   Io sono donna se
   riesco a stagliare
   la mia sensibilità
   sullo sfondo
   dell'indifferenza.
   Io sono donna benché
   un'antica follia mi definisca
   debole e mi chieda
   la forza d'un uomo.
   Io sono donna purché
   mi si lasci sognare
   in piena libertà,
   perché i sogni non hanno padrone.

SO FARMI BELLA


   Datemi una coppa di letè
   che cancelli le mille
   ipocrisie dei memento.
   Di acque dolci e pure
   voglio lavare
   le piaghe putride
   dei vostri dogmi,
   con pettini dorati
   voglio sciogliere
   i nodi
   che intricano la mente,
   da coltri morbide
   voglio coperta
   la ragnatela
   del passato.

   So farmi bella
   l'anima
   tra veli trasparenti
   di speranze
   disanimate e candide
   come gocce di latte,
   tra sorrisi fissi
   di gente
   senza volto.

CANTO DI PIETRO MASCAGNI


    Fatevi avanti, cittadini onesti,
   ditemi con coraggio:
   chi non sentì vibrare dentro al petto
   le corde dell'ardor, dell'emozioni
   ascoltando le note al cui cospetto
   misi ai miei piedi tutte le nazioni?
   Eran tempi di lirica inondati
   e facile non fu cavar l'ingegno,
   e mi dicevo: suvvia, di cosa temi?
   metti da parte dunque ogni ritegno!
   E si diffuse soave e sanguigna
   la melodia rusticana,
   e l'Inno al Sole e Ratfclif, e Lodoletta.
   Che rimprovera a me la città mia?
   Se schivo e burbero mi fece natura
   ebben, l'ho ripagata largamente
   fin da fanciullo e nell'età matura.
   E ringrazio la terra
   che mi creò aspro di fuori
   ma pien di sentimento,
   ritrasse in me se stessa e la sua tempra
   piena d'orgogliosa fierezza.
   Quel che prestai non mi fu reso
   e neanche lo voglio, o cittadini,
   che mi sentiste avverso, scomodo peso
   costringendomi a viver a voi lontano.
   Dovrei chiedervi onor, riconoscenza?
   Dovrei sentirvi chiedere un perdono
   che non pretesi? Vissi anche senza.
   Altre contrade tributarono a me
   quello che mi negaste, e me ne vanto.
   A voi resta lo scorno e lo scontento!
   E quando la mia mano
   modula note che vibrar mi fanno,
   dico: io sono il livornese pellegrino
   che parla in un linguaggio universale
   solo questo per me dell’esistenza è il sale.
   Se n'hai coraggio, negalo cittadino!
   Sol dopo morto si disciolse il pianto
   sopra i poveri resti del mio corpo.
   Vi chiedo: per voi non sono morto, allora?
   Se sono vivo in voi, questo vi onora!

RITORNERO’


   La rondine non mi canta più
   la sua canzone,
   passando rasente i tetti
   nelle sere d'estate.
   Si è fatto di ghiaccio
   anche il riso argentino
   dei bimbi.
   Sulla mia terra
   è sceso,
   lungo e profondo,
   il silenzio.

   Mi penetra in testa
   lo sferragliare
   scomposto
   disarmonico
   di macchine
   mangia-uomini.
   Nella luce
   cruda
   della città,
   ripenso alla mia luna,
   alle notti distese sull'aia,
   ai padri che raccontano
   le storie dei padri,
   il sigaro spento tra i denti,
   la serenità negli occhi.

   Ritornerò
   a bere alle mie radici
   la linfa della vita
   e tornerò a sentire
   le rondini garrire
   nel cielo
   sopra i tetti
   delle case vuote.

   All'uomo senza speranze
   che mi passa accanto
   sorrido perché so che ritornerò

LADRO DI VITE


   La bufera scarruffa le onde
   sotto la luce opaca della luna
   e la vita rincorre
   il rapido passo del tempo,
   mentre un gabbiano solitario
   lancia il suo lugubre strido.
   Già si vede all'orizzonte
   l'orlo dolcemente ondulato
   della terra,
   ma gli occhi non fanno in tempo
   a nutrirsi di speranza,
   una polvere di mare
   ladro di vite
   ricopre la barca
   col suo carico
   di dolore.
   Sorgerà di nuovo il sole
   sulle bocche dischiuse
   al sonno eterno
   degli abissi,
   sul fondo
   è intanto già scesa la notte
   e sarà per sempre.

ESTREMO AMORE


   Si perdono i miei giorni
   nel fumo di dissolvenze
   antiche come il tempo:
   il rosso dei papaveri
   non è più così rosso,
   non è più così nero
   il buio della notte senza luna.
   Cade roco nel petto
   un grido di richiamo,
   scuote l’ultimo de’ miei sensi
   e mi sussurra: un dono.

   Ora insaziabili gli occhi
   carezzano cose
   mai viste prima
   a scolpire
   le forme della vita.
   Prorompe nuova
   la voce della gente
   inascoltata
   e il sole di gennaio
   è più caldo di sempre.

   Scende l’ultima stilla
   dorata di dolcezza
   nel cuore inviolato
   nell’onda sbigottita dell’amore
   che mi concilia al mondo
   e per la prima volta
   vivo.
   Morituro satis.

PER CHI, PER COSA


   Sono, anzi ero.
   Non c'è più fretta
   di giungere al futuro.
   Nei fili intricati
   del passato
   è chiuso il canto
   e mormora la speranza,
   non grida più
   librandosi in volo.

   A monotoni passi,
   tra il fradicio appassire
   della vita,
   vado,
   non so per chi,
   non so per cosa.

CANTO DI AMEDEO MODIGLIANI


   Ho bevuto i colori del mio mare
   e respirato i refoli del vento
   che increspano di spuma l'acque chiare,
   ho temprato al salmastro il mio talento
   allo smalto di fuoco dei tramonti
   agli aspri scogli, all'onde potenti.

   O Livorno, quanto t'amai
   e quanto non compresi!
   Quanto poco m'amasti!
   E non riconoscevi
   nelle imperfette forme di bellezza
   l'armonia discordante di tua gente
   e il soffio delicato della brezza
   che piega dolce l'alga fluttuante
   come il corpo della donna ardente
   che asseconda la mano dell'amante.

   Quanto t'amai, Livorno mia!
   Eppur si fece rabbia
   quel tormento d'amore
   che mi rodeva il core.
   Partorito e cullato tra le braccia
   della mia terra che io madre credevo,
   è quella madre ostil ch'ora mi caccia
   e mi rinnega. Oh, io non volevo
   diventare figliastro d'altra terra
   e far di lei mia patria. Eppur mi serra!

   E mi nutre amorosa
   d'acqua di fiume
   e mi dona alla mente
   novella ispirazione.
   Ed ecco io vedo rifiorir su tele
   le forme rinnovate del mio genio,
   mi sembra come di spiegar le vele
   e l'estro ritornar turgido e pieno.
   Mentre morbo letale mi devasta
   avverto l'animo mio salir le vette
   e la mia arte, originale e casta,
   lasciare al mondo quello che promette.

   E m'amerai, Livorno,
   sì, m'amerai, ma invano,
   tardi per sentire il tuo bacio
   posarsi su di me morto lontano.